Ben trovati a tutti: nelle Pillole di Cultura Valeggiana di oggi, 18 Marzo 2023, si parla di cucina:
Sua maestà “la Rénga”
Nelle contrade “valésane”, come nel resto del territorio veronese e del Veneto più in generale, il maggior consumo dell’aringa, o meglio della “renga” e dello “scopetô”, si concentrava durante la stagione invernale e in particolare in coincidenza con la Quaresima, periodo penitenziale in cui la Chiesa imponeva ai fedeli l’obbligo “de magnar de magro”, nonché di digiunare un giorno alla settimana.
Così per quaranta giorni, dal mercoledì delle Ceneri fino al giovedì Santo, giorno di inizio del triduo pasquale, sulle tavole dei “valésagn” regnavano le “renghe” o i più economici scopetôgn. Questi pesci poveri ma molto nutrienti, pieni di sapore e deliziosamente sapidi, grazie alla loro facilità di conservazione (che non richiedeva refrigerazione), non mancavano mai nemmeno nelle case dei “poarech”.
Fin dal XII secolo, “rènghe e scopetôgn”,essiccati con sale e affumicati, assieme al “bacalà” (come è chiamato da noi lo stoccafisso) alternati ai salumi e accompagnati quasi esclusivamente dalla fumante e dorata polenta (“rebaltàda su la panàra e le fete tajàde col fil” o “brustolàda su la gradèla”), hanno costituito i principali alimenti invernali della cucina povera veneta. .
Il procedimento per preparare questi pesci è semplice, vanno cotti lentamente sulla brace e poi cosparsi generosamente con olio extra vergine d’oliva. Più si lasciano riposare nell’olio, più questo s’insaporirà, diventando assai gustoso da “pociàr col pa’ o co’ la polenta”.
Nel XIX secolo i precetti canonici erano ancora più rigidi e nei giorni di mercoledì, venerdì e sabato erano proibiti anche il pesce, le uova e i latticini.
I nostri antenati soffrivano normalmente la fame tutto l’anno, figuriamoci durante quelle lontane e durissime Quaresime! Non rimaneva che la proverbiale: «Polenta e ùsso vèrto!»
Comunque sia, “scopetôgn e renghe”, sono state pietre miliari nella nostra storia alimentare recente e possono ancora donarci delle sane e gustose emozioni culinarie.
Concludiamo con un vecchio proverbio (non si sa quanto valido) che esalta le virtù di questi pesci: «Ci màgna renghe e scopetôgn se consèrva i polmôgn!»
Curiosità:
-In Veneto, “scopetô” e “renga” sono stati oggetto di grande confusione e spesso sono stati scambiati l’uno per l’altra, grazie anche al trattamento di salatura e affumicatura che li rendeva alquanto simili.
-Per ragioni di approvvigionamento (e per difficoltà a distinguerne il sapore) spesso si sono spacciati addirittura scopetôgn per renghe, lucrando sul prezzo.
Peraltro, le carni dello “scopetô” sono meno compatte di quelle dell’aringa e si sciolgono meglio nell’olio.
-Il problema dell’identificazione scientifica di questi due pesci è stato risolto nel 1976, grazie agli studi del prof. Terenzio Sartore di Marano Vicentino.
-Nel suo libro “Civiltà rurale di una valle veneta, la Val Leogra”, il professor Sartore spiega che gli “scopetôgn” (erroneamente creduti i maschi delle “renghe”) altro non sono che comuni sardelle atlantiche (Sardina Pilchardus) scelte tra le più grosse, mentre le “renghe” (Aringa Clupea harengus), da parte loro, si distinguono in “renghe da late”, le più tenere (maschi), e “renghe da ôvi”, quelle con le uova (femmine).
-La veneta “renga” deriva il proprio nome dell’inglese hering/haring, che ha la radice nella voce sassone har/hari = truppa/esercito, con riferimento al fatto che questo pesce vive in enormi branchi nell’oceano Atlantico (che secondo i calcoli degli esperti norvegesi, possono arrivare a contare fino a 3 miliardi di esemplari).
-Lo “scopetô”, più raramente, “cospetô”, è invece un termine tipicamente veneto. Secondo alcuni linguisti la sua etimologia parte da lontano, da un’esclamazione desueta utilizzata dai nostri antenati quando udivano una bestemmia: «In cospetto di Dio!». Da qui, attraverso percorsi oscuri si è arrivati a identificare la bestemmia con «Cospetto», che nella versione dialettale è diventato «Cospetô – Cospetôn», fino a pervenire con scambio delle prime due consonanti, usuale nella fonetica del nostro dialetto, all’espressione: Tiràr dei scopetôni o scopetôgn! = bestemmiare!
Associando quanto detto al fatto che un altro pesce, la Salacca o Siràca, era già stato associato in maniera inspiegabile alla bestemmia: «Tiràr de le siràche», si giunse allo scambio a chiasmo, cioè a un accostamento di due membri concettualmente paralleli.